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Approfondimento

Temperatura percepita: esiste davvero e cosa cambia da quella reale?

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Giulia De Sanctis

Non esiste una temperatura percepita universale: il dato varia in ragione dell’indice utilizzato. Scopriamo insieme quelli più conosciuti

Da diverse estati si leggono sui giornali e si sentono in televisione considerazioni sulla cosiddetta “temperatura percepita” (o “temperatura apparente”), che viene presentata come un valore diverso da quello indicato dai termometri ma che dovrebbe essere più aderente alla realtà, a causa di altri fattori come l’umidità o il vento.

In realtà, la temperatura è una sola ed è quella segnata dal termometro: ogni persona poi percepisce più o meno disagio a una certa temperatura in base a diversi fattori come le proprie caratteristiche, l’attività svolta e l’abbigliamento, come ben sa chi lavora in un ufficio con aria condizionata.

Queste variabili non sono confrontabili, perché sono tante e differenti. Inoltre, i giornali spesso confondono la temperatura percepita con quella reale, paragonando i presunti 50°C della prima con i valori ai quali siamo abituati per la seconda.

Così, 50°C ci sembrano tantissimi, che è poi l’obiettivo principale dell’uso mediatico di queste scale: dare valori più alti e impressionanti.

È giusto parlare di temperatura percepita?

Quando i giornali parlano di “temperatura percepita”, usano impropriamente valori di temperatura non reali utilizzati per calcolare alcuni indici bioclimatici, i quali hanno il compito di valutare in quali condizioni meteorologiche le persone provano sensazioni di disagio.

Sarebbe più corretto citare i vari valori degli indici senza chiamarli “temperatura”. In alternativa, si potrebbe parlare di “assenza di disagio”, “disagio debole”, “disagio” e “forte disagio”, come fa il sito dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA) dell’Emilia-Romagna.

Esistono diversi indici bioclimatici, quindi anche parlando di una possibile temperatura percepita, ce ne sono diverse e sono influenzate anche da diversi fattori.

Indice bioclimatico degli Stati Uniti – https://en.wikipedia.org/wiki/Heat_index – Montagneracconta.it

 

ARPA Emilia-Romagna utilizza l’indice di Thom, ideato negli anni Cinquanta dal climatologo del Servizio Meteorologico Nazionale degli Stati Uniti Earl C. Thom.

I valori di questo indice vanno da 16 a 26: fino a 23 non si prova disagio, a 24 si prova “leggero disagio”, a 25 “disagio” e a 26 “forte disagio”.

L’indice di Thom si calcola a partire dai valori di temperatura di bulbo secco e temperatura di bulbo umido.

La temperatura di bulbo secco è la temperatura dell’aria misurata con un comune termometro, mentre la temperatura di bulbo umido è misurata da un termometro bagnato, quindi con umidità locale pari al 100% (gli esperti di termodinamica ci perdonino per la semplificazione).

Un altro indice è quello utilizzato dal servizio meteorologico del governo degli Stati Uniti: questo varia a seconda della temperatura e dell’umidità, classificando le condizioni meteorologiche in livelli che vanno da “attenzione” ed “estrema attenzione” fino a “pericolo” ed “estremo pericolo”.

Si calcola misurando la temperatura e l’umidità relativa, combinandole con una serie di coefficienti stabiliti empiricamente.

Questi coefficienti tengono conto della massa corporea e dell’altezza medie, di una stima degli abiti indossati, della quantità di attività fisica svolta, della densità del sangue, della velocità del vento e dell’esposizione ai raggi solari.

Naturalmente, al variare di questi fattori medi, l’indice diventa meno attendibile. Inoltre, viene utilizzato solo per temperature comprese tra i 27 e i 43 gradi Celsius.

L’Humidex canadese, utilizzato ad esempio da ARPA Lombardia, è simile all’indice di calore: si calcola a partire dalla temperatura dell’aria e dalla temperatura al punto di rugiada, ossia la temperatura alla quale, con l’umidità presente, si formerebbe la rugiada.

Questo indice è applicabile solo a temperature comprese tra i 20 e i 55 gradi Celsius e, come l’indice di Thom, fa distinzioni in base al livello di disagio percepito.

Esistono molti altri indici oltre a questi tre, ed è importante specificare quale viene utilizzato o attenersi alle indicazioni sul disagio, evitando di parlare di “temperatura percepita”.

Questa è un’espressione impropria, poiché il corpo umano non percepisce la temperatura, ma sensazioni di caldo o freddo che possono variare in intensità.

Queste sensazioni variano da persona a persona in base all’umidità relativa dell’aria, alla velocità del vento, al vestiario, allo stress e a come funziona la nostra pelle.

Quello che bisogna sapere è che anche se si combinano diversi fattori per ottenere un numero che tenga conto di tutti i fattori stessi, quel numero non è “una temperatura” e non è paragonabile con i numeri delle temperature a cui siamo sempre stati abituati.

Giulia De Sanctis

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