Le più belle poesie dedicate alla montagna, emozionandosi con le parole che celebrano la grandezza e la bellezza della natura più imponente.
La montagna è da sempre fonte d’ispirazione per poeti e scrittori di ogni epoca. La grandiosità dei panorami, la maestosità delle vette e la quiete della natura hanno suscitato innumerevoli riflessioni ed emozioni intense. In questo articolo ci concentreremo su alcune delle poesie più belle e significative dedicate alla montagna, vere e proprie perle dell’arte letteraria che rappresentano un’ode alla grandezza della natura e alla sua perfetta armonia.
La montagna è indubbiamente un’apprezzata destinazione per chi cerca una vacanza idilliaca, offrendo spettacoli di bellezza e suggestione unici, accessibili entro i confini della nostra penisola. Numerose località alpine infatti possono essere viste come autentici paradisi terreni e sono stati molti i poeti che ne hanno enfatizzato la bellezza con l’uso delle parole, dando vita a poesia che sanno emozionare ancora oggi.
Le più belle e memorabili poesie dedicate alla montagna
Le montagne, imponenti giganti della natura, hanno ispirato numerosi poeti nel corso dei secoli. La loro grandezza, il loro fascino, la loro imponenza e, talvolta, anche la loro brutalità, sono state fonte di ispirazione per alcune delle poesie più belle e memorabili della storia della letteratura. Di seguito, esploreremo alcune delle poesie più evocative e significative dedicate alla montagna, e scopriremo come queste opere d’arte portano alla mente le immagini e le emozioni più intense che solo la natura può suscitare.
MONTAGNA
di Giorgio Orelli (1921-2013)
Giungo dove non ronzano i beati,
in questa ganna di pieno silenzio.
Le gallinette stanno immobili
con i loro colli di pietra
e la marmotta uscita al primo sole
non teme d’essere uccisa
né fischierà.
Nessuno annulli la montagna,
ora, leggera e come costruita
con le carte da gioco dell’infanzia.
(Da “Poesie”, Meridiana, Milano 1953)
Questa poesia di Giorgio Orelli, intitolata “Montagna”, dipinge un’atmosfera di quiete e immobilità nelle alte vette. Descrive un luogo in cui la natura selvaggia e immutabile contrasta con la quiete e la serenità della montagna. Orelli esprime una sorta di sacralità e immutabilità della natura che si riflette nella sua descrizione delle creature e dell’ambiente montano.
ASSENZIO
di Andrea Zanzotto (1921-2011)
La deserta stagione
nell’acqua dei cortili
le sue gioie scompone
precipita dai clivi.
Verso i monti delle alpi
torna azzurro ed assenzio
di venti, torna ai campi
la sagra del silenzio.
E il tuo freddo rimpianto
sta sui vacui confini
contro il porpureo vanto
dei mosti e dei giardini
mentre l’astro crudele
dalle attardate sfere
rigèrmina e fedele
cresce nel suo potere.
Sigillo augusto, degna
fine, voto profondo,
spada che a morte segna
per sempre il cielo e il mondo,
delle tenebre alunno
che impietrisci l’aurora!
Nell’ombra dell’autunno
il chiuso bosco odora.
(Da “Dietro il paesaggio”, Mondadori, Milano 1951)
La poesia “Assenzio” di Andrea Zanzotto esplora l’autunno come una stagione deserta e satura di malinconia. Ritrae un’atmosfera nostalgica e inquietante, in cui il paesaggio si trasforma e rivela una bellezza malinconica attraverso l’immagine dell’assenzio, simbolo di un tempo che sfugge. Zanzotto dipinge un’immagine intensa e struggente dell’autunno, con riferimenti alla natura e al suo lento declino.
DOLOMITI
di Antonia Pozzi (1912-1938)
Non monti, anime di monti sono
queste pallide guglie, irrigidite
in volontà d’ascesa. E noi strisciamo
sull’ignota fermezza: a palmo a palmo,
con l’arcuata tensione delle dita,
con la piatta aderenza delle membra,
guadagnamo la roccia; con la fame
dei predatori, issiamo sulla pietra
il nostro corpo molle; ebbri d’immenso,
inalberiamo sopra l’irta vetta
la nostra fragilezza ardente. In basso,
la roccia dura piange. Dalle nere,
profonde crepe, cola un freddo pianto
di gocce chiare: e subito sparisce
sotto i massi franati. Ma, lì intorno,
un azzurro fiorire di miosotidi
tradisce l’umidore ed un remoto
lamento s’ode, ch’è come il singhiozzo
rattenuto, incessante, della terra.
(Da “Parole”, Garzanti, Milano 1998)
La poesia “Dolomiti” di Antonia Pozzi descrive le montagne non solo come masse di pietra e roccia, ma come entità viventi, anime di monti che sfidano gli umani con la loro maestosità. Pozzi dipinge un’immagine intensa e personificata delle Dolomiti, descrivendo la lotta e la passione nell’affrontare le cime, insieme alla fragilità umana di fronte alla grandezza della natura. La poetessa evidenzia la connessione tra l’uomo e la montagna, descrivendo il duro cammino verso le vette e la reazione della montagna stessa attraverso una sorta di pianto che si percepisce nelle sue crepe e nei suoi rimandi naturali.
LA VALLE PERDUTA
di Alfredo Baccelli (1863-1955)
È una valle perduta in mezzo ai ghiacci
Che nessuno vi può mettere il piede.
Se un cacciatore, che non presta fede
Alla leggenda strana,
Tenta il negato varco e vi s’indugia,
La nebbia cala, con sottil malia
L incanta, lo confonde, lo disvia:
Per sempre l’allontana.
Di pini solatii la valle odora,
Mentre fischian marmotte, e bianche lepri
Fra rododendri scherzano e ginepri.
Pendono i rosei pomi
Le prugne nere e le ciliege in fuoco:
D’oro, di lapislazzuli e d’argento
Fiorisce il prato, e squilla alto un concento
Sotto i frondosi domi.
La notte, dove i rigidi cipressi
Levan, come colonne di basalto,
I neri tronchi in alto, in alto, in alto,
Verso il bruno zaffiro,
Che par si fonda al palpito degli astri,
Le fate, bianche più di bianche nevi
E come nebbie vanescenti e lievi.
Siedono tutte in giro.
V’è la pensosa e taciturna figlia
Del Passato che dorme e non ritorna,
E con le gemme dell’ Inganno adorna
Quella de l’Avvenire:
V’è la figlia del Sogno che sospira.
La figlia della Gioia che non pensa,
E quella de la Fede che dispensa
La forza di morire.
Dagli occhi verdi come lo smeraldo
Raggiano per la notte un sottil lume,
E piano piano al pallido barlume
Va di dolcezza un canto.
Come un ricordo caro o una speranza.
Acque e venti lo portano lontano:
Lo portano dov’è il dolore umano.
Dov’è la morte e il pianto.
(Da “Alle porte del cielo”, Zanichelli, Bologna 1921)
La poesia “La Valle Perduta” di Alfredo Baccelli descrive una valle avvolta da un alone di mistero e inaccessibilità. Immagini di magia e incanto si intrecciano con una sensazione di lontananza e insondabile bellezza. La valle, immersa in una sorta di leggenda, si presenta come un luogo incantato, un regno di suggestione e meraviglia. Baccelli dipinge un quadro suggestivo, popolato da elementi fiabeschi come fate e visioni eteree, trasmettendo un senso di inaccessibilità mistica, come se fosse un luogo che sfugge alla comprensione umana, dove la bellezza e il mistero convivono in modo enigmatico.
MALOIA
di Giovanni Bertacchi (1869-1942)
Io son salito all’umida e tardiva
primavera dell’Alpe: al mesto prato
io vidi il verde che ricompariva
quale il novembre ve l’avea lasciato.
Cinque mesi di neve! Or nel crucciato
mattin di giugno, dalla val saliva
e pioggia e bruma e vento: un tormentato
fumar di larve sulla fosca riva.
I monti, intorno, erano bianchi ancora.
Varia così, quella scena parea
la ruina immortai d’un verno stanco…
Là, verso Sils, un monte tutto bianco
pallidissimamente rilucea
come nel nimbo d’una fioca aurora.
(Da “Liriche umane”, Libreria Editrice Nazionale, Milano 1903)
La poesia “Maloia” di Giovanni Bertacchi dipinge un quadro suggestivo della tarda primavera sulle Alpi. Descrive un paesaggio in cui la neve persiste anche durante i mesi più caldi, creando una scena che mescola la bellezza dell’arrivo della primavera con i resti dell’inverno. Bertacchi cattura l’immagine di un ambiente ancora intriso di bianco, con una neve persistente che contrasta con la rinascita della natura circostante, creando un’atmosfera di transizione e bellezza struggente.